Entropia politica

La liberaldemocrazia tra passato e avvenire

di Francesco Nucara

Temperature elevate in questo mese di luglio. Il caldo afoso porta la classe politica a sragionare, ove mai negli ultimi tempi abbia ragionato.

Vediamo cosa succede in questi giorni: "‘L’Agenda Monti’ divide i democratici", "E spunta l’ipotesi di una crisi pilotata" ("Corriere della Sera" del 21 luglio scorso) e ancora sullo stesso giornale: "PDL e PD, crepe nella ‘strana maggioranza’".

Stesso giorno su "La Stampa": "Bersani avverte Casini: faremo le unioni civili". Il giorno dopo sullo stesso giornale: "Irresponsabile sfiduciare Monti. Se invece c’è valutazione comune, elezioni possibili in autunno".

Del PDL è meglio tacere, se anche Alemanno, dopo avere disintegrato Roma, pretende di dire la sua.

Il top sono le dichiarazioni di Dario Franceschini: "Non sono i mercati che decidono, ma il popolo sovrano". Franceschini ha scordato che, oltre al popolo sovrano, c’è anche il debito sovrano, prodotto dagli italiani e non dai tedeschi.

Su quest’ultimo argomento i repubblicani hanno fatto la loro proposta al presidente Monti fin dal 17 dicembre 2011; purtroppo quella proposta è stata recepita in ritardo, e tuttavia il ministro Grilli ha accettato di creare un Fondo per l’alienazione del patrimonio dello Stato.

Come si evince da titoli e dichiarazioni riportate dianzi, e tralasciando gli attacchi dell’on. Di Pietro al capo dello Stato e la minaccia di scioperi da parte dei sindacati, è chiarissimo lo scollamento e l’annaspare della classe politica, soprattutto quella dei partiti maggiori, che sono guidati da ragionamenti di bottega.

Ricapitolando, il PD è diviso in più tronconi: filo-Monti (Veltroni), filo-Monti "ma" (Franceschini), contro le unioni dei gay (Bindi), pro (Bersani), contro Monti (Fassina), etc.

La ferrea unione Vendola-Di Pietro impedisce allargamenti a sinistra, senza perdersi per strada l’eventuale alleanza con Casini. Quest’ultimo, dopo essersi speso in un sostegno a Mario Monti senza se e senza ma, sembra titubare e va alla ricerca di compromessi per elezioni anticipate. E’ quasi impossibile decifrare il PDL sul presente, figuriamoci sul futuro.

In questo bailamme qualche repubblicano autorevole, e qualcuno meno autorevole, vorrebbe che si scegliessero ora le alleanze. Noi crediamo che un piccolo partito le alleanze se le deve costruire sui programmi, per arrivare poi a indicare il ruolo che vorrebbe esercitare nella prossima legislatura, in piena autonomia.

E’ bene ricordare che un partito piccolo e compatto può esercitare un ruolo politico che altrimenti la propria forza elettorale non consentirebbe.

I repubblicani, quelli veri, devono affrontare con chiarezza i temi politici e, una volta decisa la linea, essi si devono adoperare per organizzare al meglio il successo della linea comunemente decisa, anche se solo a maggioranza. Una volta intrapresa una strada, tutti si devono adoperare per raggiungere al meglio la meta prefissa.

Il rischio che si corre è quello di trovarsi alleati con quanti in questi anni hanno condiviso quel bipolarismo, che tanti danni ha prodotto al Paese. Un bipolarismo che ci ha condotto verso il baratro politico, economico e sociale. Un bipolarismo concepito per vincere le elezioni, a destra come a sinistra, ma privo di qualsivoglia progetto politico e programmatico.

Un bipolarismo finto, che nel passato è stato il prodotto di forze stataliste (AN) e antistataliste (Lega), o di forze socialdemocratiche (PD) e comuniste (Rifondazione e PDCI).

Tutto scritto sull’acqua. Vinte le elezioni, dopo, solo dopo, si pone il problema della governabilità, o meglio, dell’ingovernabilità del Paese.

Storicamente, quando ci si trova davanti a delle difficoltà, si inventano formule che vogliono dire tutto e nulla, cosicché le eventuali critiche vengono aggirate con formule prive di contenuti.

Prima il "riformismo", oggi la liberaldemocrazia.

I repubblicani sono sempre stati riformatori, perché sempre allergici agli "-ismi", e liberaldemocratici.

Il nostro progetto liberaldemocratico ha avuto anni di incubazione, perché forse nemmeno i repubblicani sono stati coscienti fino in fondo della bontà di un disegno che, se si realizzasse, avrebbe comunque bisogno di tempi lunghi. Come qualunque obiettivo serio. La nostra preoccupazione sussiste nel fatto che quanto anticipato dai congressi e dai dibattiti del PRI sia oggi condiviso persino da D’Alema e Casini.

Vorremmo aprire un dibattito anche con loro, per capire quanta sostanza ci sia nelle loro affermazioni. La via è tracciata. La manifestazione di Roma del 7 luglio è stata significativa di quanto si può costruire sul futuro, se non ci si affida a battaglie personalistiche e nominalistiche.

I documenti congressuali dovrebbero essere legge per la nostra organizzazione politica, specie se l’obiettivo liberaldemocratico, pur con sfumature diverse, è condiviso da tutto il partito.

A chi ha sulle spalle decenni di militanza repubblicana nel partito e nelle istituzioni chiediamo di aiutare i giovani a crescere, non per loro ma per perpetuare, attraverso di loro, l’idea repubblicana.

Ai giovani ricordiamo che i gradini si salgono uno alla volta e ogni gradino rappresenta un sacrificio personale e un lavoro politico.

Evitiamo di dare ragione a Ennio Flaiano che sosteneva: "I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle idee altrui".

Essi abbiano pure, come è giusto e come è stato per tutti, se lo ritengono, riferimenti personali, ma aborriscano i padrinaggi. Non rifuggano da esperienze elettorali che sono la fucina della politica.

Il PRI non è una consorteria, ma un grande partito che ha sempre pensato ai problemi del Paese.